Astrociti nella malattia di Huntington

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 10 giugno 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE E AGGIORNAMENTO]

 

La malattia di Huntington (HD) è una patologia neurodegenerativa in cui espansioni abnormi della tripletta ripetuta CAG nel primo esone del gene dell’huntingtina (HTT) determinano una forma mutante del gene (mHTT) che perturba la fisiologia gliale e neuronica, portando a una disfunzione cellulare evidente in primo luogo nei neuroni spinosi medi del neostriato (MSN). Sappiamo che queste cellule del sistema nervoso centrale costituiscono gli unici neuroni che inviano segnali in uscita dallo striato, e ricevono la grande maggioranza dei segnali glutammatergici in entrata, provenienti dalla corteccia cerebrale e dal talamo. Per questa posizione, le cellule MSN sono considerate unità di integrazione dello striato, di cui costituiscono il 95% dei neuroni.

La segnalazione eccitatoria glutammatergica delle MSN riceve un considerevole supporto da parte degli astrociti, via ricambio sinaptico del glutammato e degli ioni potassio da parte dei processi astrocitari, e mediante il rilascio di gliotrasmettitori modulatori locali, che insieme supportano il mantenimento omeostatico dell’ambiente sinaptico. Quale risultato, i rapporti spaziali dei processi astrocitici con le singole spine dendritiche cui sono associati, e in particolare il preciso rapporto topografico tridimensionale di tali processi con la fessura sinaptica, può essere un determinante critico dell’efficienza sinaptica e della soglia di scarica.

La morfologia delle spine dendritiche costituisce un fattore determinante per le loro dinamiche di attivazione, da cui l’importanza di questo aspetto all’interno della rete dendritica. La relazione strutturale della spina dendritica, e della sua sinapsi associata con i processi degli astrociti vicini, costituisce un altro fattore critico determinante la sua soglia di scarica, in quanto i processi astrocitici partecipano al sequestro e alla compartimentazione funzionale delle singole sinapsi, contribuendo alla regolazione dell’attivazione sinaptica, mediante la rimozione del K+ e del glutammato dalla fessura sinaptica.

Ma il rapporto strutturale tra le sinapsi e gli astrociti associati è sempre stato difficile da studiare, anche più di quanto sia impegnativa la descrizione quantitativa di tale relazione. Mentre esistono numerosi strumenti analitici per estrarre informazioni quantitative dalle arborizzazioni dendritiche mediante metodi fluorescenti, non si dispone ancora di strumenti analoghi per rendere le interazioni astrocitiche in scala nanometrica con le singole spine dendritiche. Recenti strategie hanno focalizzato l’attenzione sui rapporti tra le sinapsi e i loro elementi astrocitari di supporto, mediante microscopia FRET (fluorescence resonance energy transfer) e applicazioni in super-risoluzione in tessuto spesso.

Gli studi condotti con tali metodi consentono di ottenere dati inferenziali, ma non forniscono precise o quantificabili caratterizzazioni strutturali dei principali elementi della sinapsi tripartita (il terminale sinaptico, la spina dendritica post-sinaptica e il processo astrocitico che li avvolge). Per tale ragione, i cambiamenti nella morfologia delle spine dendritiche dipendenti dalla mHTT, i cambiamenti nella struttura e nella funzione astrocitica sono rimasti indefiniti. Più estesamente, tali valutazioni topografiche e ricostruzioni in scala nanometrica degli ambienti perisinaptici, sono rimasti una sfida non affrontata, specialmente nel cervello dei mammiferi adulti.

Per affrontare questa sfida, Carlos Benitez Villanueva e colleghi hanno impiegato una combinazione di tracciamento virale, di tagging specifico per fenotipo e metodi di ricostruzione ultrastrutturale delle sinapsi HD alla scala nanometrica, nel neostriato di topi HD. In tal modo, i ricercatori hanno scoperto significative alterazioni della partecipazione astrogliale a sinapsi striatali mature. Alla luce dei noti deficit di captazione del glutammato e del K+ da parte degli astrociti HD, quanto è stato trovato dai ricercatori suggerisce la potenzialità di perdita di contenuti sinaptici eccitatori durante la neurotrasmissione; elemento che può considerarsi una base strutturale per l’ipereccitabilità neuronica nella HD.

Complessivamente, i dati ottenuti da Carlos Benitez Villanueva e colleghi suggeriscono che la patologia strutturale degli astrociti può contribuire causalmente alla componente dei processi neurodegenerativi che è associata all’ipereccitabilità centrale.

(Benitez Villanueva C. et al., Astrocytic engagement of the corticostriatal synaptic cleft is disrupted in a mouse model of Huntington’s disease. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2210719120, June 6, 2023).

La provenienza degli autori è la seguente: Center for Translational Neuromedicine, University of Copenhagen, Faculty of Health and Medical Sciences, Copenhagen (Danimarca); Department of C omputer Science, University of Copenhagen, Faculty of Science, Copenhagen (Danimarca); Faculty of Engineering, Division of Solid Mechanics, Lund University, Lund (Svezia); Center for Translational Neuroscience, Department of Neurology, University of Rochester Medical Center, Rochester, NY (USA).

Riprendiamo da una nostra recensione recente l’introduzione che segue[1].

La malattia di Huntington è una grave patologia neurodegenerativa e clinicamente è un disturbo ipercinetico del movimento ereditato come un carattere autosomico dominante e dovuto alla mutazione di un gene altamente conservato sul braccio corto del cromosoma 4 (gene HTT) codificante la proteina citosolica e nucleare huntingtina (HTT); detta tradizionalmente corea di Huntington per il sintomo discinetico, la malattia fa parte dei nove disturbi neurodegenerativi ereditari classificati quali malattie da espansione del tratto di triplette CAG ripetute o malattie da ripetizione di CAG-poliglutammina (poliQ): 1) malattia di Huntington, 2) atrofia muscolare spinale e bulbare (SBMA)[2], 3) atrofia dentato-rubro-pallido-luysiana (DRPLA); e sei forme di atassia spino-cerebellare: 4) SCA1, 5) SCA2, 6) SCA3, 7) SCA6, 8) SCA7, 9) SCA17.

Ci occupiamo spesso della ricerca su questa patologia e di recente abbiamo recensito uno studio su una possibilità terapeutica dalla delezione di SUMO1[3] e un altro su come FAN1 ritarda l’esordio della malattia[4].

Un cenno storico sul medico dal quale la malattia trae l’eponimo ci aiuta a renderci conto di quanto lungo e difficile sia stato e sia ancora il cammino per giungere a comprendere la patologia alla base di questa malattia, compiutamente descritta per la prima volta 150 anni fa.

George Huntington, nato a Long Island nel 1850, era ancora adolescente quando, accompagnando nelle visite suo padre – medico di fama come lo era stato suo nonno Abel, anche senatore dello stato di New York – vide in due donne, madre e figlia, movimenti involontari aritmici a scatti, che lo colpirono molto. Il padre gli spiegò che non era in grado di diagnosticare l’origine di quei sintomi e che erano probabilmente dovuti a una malattia ancora sconosciuta. Compiuti i diciotto anni, George si iscrisse alla facoltà di medicina della Columbia University e si laureò tre anni dopo con una tesi sugli effetti dell’oppio, ma durante tutto quel periodo aveva continuato a pensare a quelle donne che improvvisamente erano disturbate da movimenti indesiderati, fastidiosi e imbarazzanti.

Dedicò un anno a studiare la malattia che aveva caratterizzato come “corea”, dal termine greco per “danza”, seguendo i neurologi che avevano descritto quei sintomi in casi isolati, notando la propensione per la danza nei pazienti che ne erano affetti[5]. George Huntington lavorava come medico di medicina generale nella città di Pomeroy nell’Ohio, ma la famiglia di pazienti di suo padre nella quale descrisse il disturbo ipercinetico ereditario era come lui di Long Island.

A ventidue anni, il 13 aprile del 1872, pubblica On Chorea[6] un articolo che aveva già letto come saggio davanti alla Meigs and Mason Academy of Medicine at Middleport (Ohio) il 15 di febbraio dello stesso anno. In questo documento di storia della medicina, dopo aver fatto riferimento a due casi pubblicati da Romberg di pazienti affetti da corea con l’interessamento dei muscoli della respirazione, dopo aver attribuito a Flourens l’ipotesi della patogenesi cerebellare e aver citato casistiche di corea di centinaia di casi o di più di mille (1029 di Watson), specifica che la malattia da lui studiata è ereditaria. Attualmente, i casi ereditari sono stimati nell’ordine del 90% del totale.

In precedenza, avevo così introdotto questa patologia: ‘La malattia coreica, descritta come disturbo ipercinetico ereditario per la prima volta nel 1872 in una famiglia di Long Island da George Huntington, medico di Pomeroy nell’Ohio, è una grave patologia neurodegenerativa ad andamento progressivo che attualmente riguarda, nelle varie fasi della sua evoluzione, circa 30.000 persone nell’America del Nord.’[7].

La malattia, che in circa il 90% dei casi è ereditata come un carattere mendeliano autosomico dominante e nel rimanente 10% è originata de novo, è causata da disfunzione e degenerazione di neuroni dei nuclei della base del telencefalo (gangli basali) e poi di regioni corticali, con la conseguenza sintomatologica di movimenti involontari come di danza (corea), vari sintomi psichiatrici e, infine, demenza[8]. In particolare, è stata osservata una precoce disfunzione e perdita di interneuroni inibitori GABAergici delle formazioni dello striato, cui conseguono i segni e sintomi iniziali.

Fin dall’inizio degli anni Ottanta, grazie a studi condotti da numerosi ricercatori, che includevano Gusella e Tanzi[9], si è stabilito il collegamento fra la malattia di Huntington e la ripetizione della tripletta nucleotidica CAG nell’esone 1 del gene HTT codificante l’huntingtina (htt) localizzata sul cromosoma 4q16. Tale rilievo include questo grave disturbo coreico fra le patologie da ripetizione di triplette, o CAG-polyglutamine (Poly-Q) repeat diseases, definite quali disturbi neurodegenerativi ereditari causati dalla abnorme espansione di un tratto di ripetizione della tripletta CAG, con la conseguente sintesi di una proteina con un abnorme segmento poli-glutamminico. In generale, le malattie da triplette sono caratterizzate dalla ripetizione di tre coppie di basi nucleotidiche, che possono essere presenti sia in regioni codificanti che non codificanti, dando luogo ad una moltitudine di differenti fenotipi ereditati, sia con modalità legata al cromosoma X[10] che autosomica dominante e recessiva. L’ereditarietà della malattia di Huntington familiare, come già riportato, è autosomica dominante. Le malattie neurologiche da espansioni di triplette ripetute, riconosciute e descritte dalla nosografia classica, sono 9: la malattia di Huntington; l’atrofia muscolare spinale e bulbare (SBMA); l’atrofia dentato-rubro-pallido-luysiana (DRPLA); sei forme di atassia spinocerebellare (1, 2, 3, 6, 7 e 17). Tutte queste patologie presentano una correlazione inversa fra il numero di ripetizioni e l’età di insorgenza, risultante in un fenotipo patologico di gravità crescente quando la malattia è trasmessa da una generazione all’altra, per effetto dell’accrescersi della lunghezza di espansione della sequenza CAG dell’allele mutante: un fenomeno chiamato anticipazione[11].

Ritorniamo allo studio qui recensito sul ruolo degli astrociti presso la fessura sinaptica nella fisiopatologia della malattia di Huntington.

La disfunzione astrocitaria contribuisce in modo significativo alla patogenesi della malattia di Huntington e, come si è dimostrato sperimentalmente, la sostituzione della glia può migliorare in modo apprezzabile il decorso della malattia. Carlos Benitez Villanueva e colleghi hanno cercato innanzitutto di stabilire i rapporti topografici tra le strutture appartenenti agli astrociti patologici e le sinapsi dei neuroni spinosi medi (MSN), che costituiscono la stragrande maggioranza delle cellule nervose eccitatorie dello striato, impiegando l’imaging bifotonico per mappare la relazione degli astrociti striatali turboRFP-etichettati e rabies-tracciati con coppie neuroniche EGFP-etichettate in topi R6/2 HD e in topi di ceppo naturale (WT, da wild type). Le sinapsi corticostriatali identificate e contrassegnate, sono state poi studiate mediante microscopia elettronica seguita da serial block-face scanning EM, che ha consentito valutazioni in scala nanometrica delle strutture sinaptiche in 3D.

Usando questi strumenti tecnici, Carlos Benitez Villanueva e colleghi hanno comparato l’impegno astrocitico in singole sinapsi striate nel cervello sano e nel modello patologico di HD. Gli astrociti R6/2 HD hanno mostrato domini ridotti, con una copertura significativamente ridotta delle spine dendritiche mature rispetto agli astrociti del cervello dei topi sani, in contrasto con un maggiore impegno di spine dendritiche sottili, immature.

Questi dati indicano che i cambiamenti dipendenti dalla malattia nell’impegno sinaptico e nel sequestro delle sinapsi dei neuroni MSN da parte degli astrociti, determinano l’alto livello di glutammato e K+ responsabile dell’ipereccitabilità propria della patologia di Huntington.

Gli elementi morfo-funzionali scoperti dagli autori dello studio, per il cui dettaglio si rimanda al testo integrale dell’articolo originale, suggeriscono che la patologia strutturale astrocitica contribuisca alla disfunzione sinaptica e al fenotipo, più in generale, delle malattie neurodegenerative caratterizzate da ipereccitazione di rete.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-10 giugno 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 11-06-22 Nuovo meccanismo nella malattia di Huntington comune col Parkinson.

[2] La SBMA ha un’eredità legata al cromosoma X, a differenza di tutte le altre otto che sono autosomiche dominanti.

[3] Note e Notizie 05-02-22 Per la malattia di Huntington una terapia dalla delezione di SUMO1.

[4] Note e Notizie 09-04-22 Come FAN1 ritarda la malattia di Huntington.

[5] Questa origine dell’uso del termine “corea” è riportata da George Huntington stesso in On Chorea e sembra fornire una ragionevole spiegazione, in quanto il sintomo coreico non assomiglia affatto a un movimento di danza.

[6] George Huntington M. D., On Chorea. The Medical and Surgical Reporter 26 (15): 317-321, April 13, 1872. (The Medical and Surgical Reporter: A Weekly Journal published in Philadelphia by S. W. Butler).

L’articolo è attualmente nel dominio pubblico e può essere reperito sul web dal titolo.

[7] Note e Notizie 22-10-11 Un marker per la malattia di Huntington.

[8] L’età media di insorgenza è intorno ai 40 anni, il decorso termina con esito infausto 15-20 anni dopo. La prevalenza è molto più bassa di quella delle altre patologie neurodegenerative causanti demenza ed è prossima a quella della SLA.

[9] Gusella J. F., et al. A polymorphic DNA marker genetically linked to Huntington’s disease. Nature (5940): 234-238, 1983.

[10] È il caso dell’atrofia muscolare spinale e bulbare (SBMA).

[11] Note e Notizie 05-02-22 Per la malattia di Huntington una terapia dalla delezione di SUMO1.